A differenza di Canada e Stati Uniti, in Italia non si può ancora parlare di emergenza. «C’è una bassa percezione del rischio da parte dell’opinione pubblica. La sottostima del fenomeno deriva soprattutto dalla difficoltà nell’individuare il Fentanyl nei test di screening routinari e dal silenzio di chi lo assume. Occorre un cambiamento sistemico: una strategia integrata che includa prevenzione, monitoraggio, cura e reinserimento». Esod potrebbe essere il punto di partenza: l’acronimo di Équipe specializzate ospedaliere per le dipendenze del Centro antiveleni dell’IRCCS Maugeri di Pavia è attivo da luglio: si tratta del primo reparto in Italia ed Europa per la ricerca sulle sostanze psicoattive -1050 Nuove voci tra bath salts e muscimolo, presente nei funghi e spacciato per cioccolato-, conducendo analisi cliniche e psicologiche sui pazienti più giovani, ricoverati in Pronto soccorso e Rianimazione. L’équipe include medici, psicopatologi, chimici, infermieri, biologi e farmacisti per effettuare risonanze e prelievi utili a dettagliare i danni cerebrali e risalire a nuove cure. I danni psicologici, invece, attivano e subiscono un circolo vizioso, dal momento che l’assunzione di Fentanyl diventa un’automedicazione emotiva «che però li aggrava. I più comuni sono depressione, ansia cronica, attacchi di panico e un generale appiattimento affettivo. Spesso subentrano sintomi dissociativi: anedonia e ideazione suicidaria. Parliamo di una droga che non solo altera la chimica del cervello, ma frammenta l’identità dell’individuo». Esiste una forte correlazione tra la preferenza per il Fentanyl rispetto ad altri oppioidi (o al suo mix con cocaina) e i disturbi mentali: lo studio dell’Università di Catania cita la familiarità con le benzodiazepine. Può esistere una correlazione tra il disagio giovanile in Italia e l’accesso al Fentanyl, sapendo che il consumo di psicofarmaci senza prescrizione è in crescita, specie tra ragazze? È un trend che «può essere un terreno fertile per cercare soluzioni rapide, incluso il rischio di transizione verso sostanze più potenti come il Fentanyl. I giovani vivono in uno scenario di povertà emotiva, sfiducia nelle istituzioni e isolamento sociale. Bisogna fare prevenzione a partire dalle scuole, formare gli insegnanti, coinvolgere le famiglie, attuare strategie di coping salutari, offrendo ai ragazzi strumenti alternativi per regolare stress ed emozioni». Il lieve calo del consumo di droghe tra i giovani registrato nel 2024 sembra non fermare il moltiplicarsi di nuove sostanze psicoattive disponibili sul mercato.
Fentanyl e differenze di genere
Il trattamento delle dipendenze è un processo di lungo periodo, e il supporto psicologico non può essere il fanalino di coda della terapia farmacologica. Il Prof. Caponnetto indica terapia cognitivo comportamentale (CBT) e l’Acceptance and Comitment Therapy (ACT), basata su tecniche di mindfulness, tra le più efficaci -ma ogni intervento dev’essere calibrato sulle differenze di genere: la dipendenza da Fentanyl ne mostra di significative. A livello biologico, sono state descritte in uno studio della University of Virginia: io ratti femmina avevano una motivazione maggiore dei maschi ad assumere Fentanyl dopo 3 giorni di autosomministrazione, ma anche ripercussioni peggiori sulla salute rispetto a questi ultimio. «Un sondaggio nazionale condotto su 1515 americani a giugno del 2024 ha segnalato un uso illecito di oppioidi più alto negli uomini. Le donne, per motivi biologici e psicosociali, sono più sensibili agli effetti sedativi del Fentanyl e tendono a sviluppare una dipendenza più rapidamente. Molte pazienti riferiscono un pattern d’uso che si sviluppa in contesti relazionali disfunzionali, dove la sostanza diventa parte di una dinamica di controllo o co-dipendenza. L’intervento terapeutico deve considerare la specificità della sofferenza femminile, costruendo una rete di supporto sociale e relazionale sicura». Uno studio qualitativo pubblicato sul Giornale di Uso e trattamento della dipendenza dimostra che le differenze di genere possano estendersi fino alla percezione (o dispercezione) dell’overdose da Fentanyl, ritenuta il male minore rispetto all’esposizione a rischi o preoccupazioni più istintive, come quelle materne. Gli uomini temono di più la possibilità di contrarre infezioni, in primis HIV: l’astinenza non contempla la caccia ad aghi sterili.
Il documentario Tviaggio di morte in dollari (2020) disponibile su Netflix mostra che un certo adattamento all’illegalità sia l’unica manovra di emergenza di alcuni centri, che mettono a disposizione siringhe pulite e postazioni supervisionate per consentire di drogarsi in sicurezza. È di nuovo una questione di male minoreun’omeostasi tra illegale e legale. Altri timori maschili sono la paura di subire un’aggressione per strada -corsia preferenziale di spaccio, ring o giungla, come la chiamano gli intervistati- e di finire in prigione: «Nella nostra scoping review, uno degli aspetti più drammatici riguarda proprio il fallimento del sistema carcerario nel fungere da contesto di riabilitazione per i detenuti con dipendenze. Oltre a essere considerata un ambiente punitivo, la prigione tende a esacerbare la possibilità di ricaduta una volta fuori». Per Mauricio, il carcere è solo una perdita di tempo: “Mi sforzavo molto per convincerli ad aiutarmi, chiedevo di darmi almeno una lista di posti a cui rivolgermi. Non l’hanno mai fatto. Appena sono uscito, ho iniziato a farmi di nuovo”. Il disagio non riguarda solo i sorvegliati, e qui Caponnetto centra il punto: «La salute mentale degli agenti penitenziari è un indicatore della qualità complessiva del sistema detentivo». Uno studio del 2024 condotto nelle carceri federali canadesi ha esaminato la percezione del rischio e lo stress psicologico causati dal Fentanyl sugli operatori penitenziari: molti preferivano ispezionare le celle in coppia e mai senza dispositivi di protezione individuale. Circa 1 agente su 3 aveva assistito a un’overdose nel primo anno di servizio, interiorizzandola -vale a dire assorbendola a livello psicologico, senza trattarla: «L’esposizione continua a situazioni ad alto carico emotivo, unite al rischio chimico legato al Fentanyl cui possono essere esposti,» –un’altra ricerca americana sostiene che quasi un quinto dei decessi da Fentanyl riguardi gli ex detenuti: è importante che la distribuzione preventiva di naloxone (farmaco salvavita in caso di overdose) avvenga in cella, con la collaborazione degli agenti penitenziari- «genera una condizione cronica di stress. Servono programmi di prevenzione del burnout, spazi di formazione continua sulla gestione del rischio e protocolli di sicurezza aggiornati. Il carcere rappresenta un contesto ad alta vulnerabilità sia per i detenuti sia per gli operatori».