Nel 1997, il tema della lotta contro le mine antiuomo raggiunse il pubblico generalista a livello globale grazie all’iconica “passeggiata” della Principessa Diana nei campi minati dell’Angola.
Solo quattro anni prima, nel 1993, l’ingegnere elettrotecnico Vito Alfieri Fontana lasciava l’azienda di famiglia che progettava e produceva mine.
La tragedia delle mine antiuomo
IL storia di Fontanaraccontata nel libro Ero l’uomo della guerra, La mia vita da fabbricante di armi a sminatoreapproda anche al Wired Next Fest 2025per una riflessione più generale sul tema dei conflitti, della tecnologia e degli investimenti che finiscono per finanziare l’industria degli armamenti.
La vicenda di Fontana è potente, in primis per la conversione personalema anche per gli incontri che lo hanno convinto di essere dal lato giusto della storia: da quello con il fondatore di Emergency Gino Strada a quello con Jody Williamspremio Nobel per la Pace 1997 per il suo lavoro a favore della messa al bando e la bonifica delle mine antiuomo.
Ma come si transita dal ruolo nell’azienda della famiglia a quello di capo missione di diversi progetti umanitari di sminamento?
Spiega Vito Alfieri Fontana: “Così come sono entrato in azienda per far piacere a mio padre, cosi mi sono trovato a confrontarmi con la mia famiglia e ho preso una decisione. Ho avuto un lungo colloquio con Strada, con un vescovo di Pax Christi, colloqui profondi e coinvolgenti. Era giusto farlo e l’ho fatto a ragion veduta”. Con il suo impegno nei BALCANI (come capo missione di diversi progetti umanitari di sminamento dal 1999 al 2016, ndr), tra i teatri di guerra più dilanianti per gli effetti sulla popolazione civile, l’ingegnere si è confrontato con uno degli aspetti più diabolici dell’impiego di questo strumento.
“Con la fine delle operazioni belliche la guerra non finisce, l’uso delle mine nei Balcani è stato selvaggio. Spesso sono state usate come armi di vendetta. Mine messe nelle case, nelle stufe, collegate all’impianto elettrico dell’edificio. Ci sono voluti vent’anni ma ce l’abbiamo fatta, un ricordo amaro è che il tribunale penale ha incaricato la nostra organizzazione di verificare un sito pensando ci fosse una fossa comune. Quello è il ricordo più amaro di tutti, speravamo la fossa non ci fosse, poi abbiamo trovato le pale che erano state buttate lì come segno di sfregio”.