Lorenzo Bresciani è partito in missioni umanitarie anche durante la pandemia e dopo l’invasione dell’Ucraina per assistere la popolazione civile. A fine settembre è stato selezionato come operatore sanitario di bordo della Anima della mia animanave della flotta umanitaria diretta verso Gaza. Prima di partire ha seguito corsi di comunicazione non violenta e gestione del panico: un addestramento necessario per affrontare i rischi di un’intercettazione in mare.
Gli aiuti umanitari perduti e le scarse condizioni igieniche di detenzione
IL Anima della mia anima con a equipaggio perlopiù sanitario, trasportava aiuti medici; latte in polvere, cortisone, antibiotici e aveva anche il compito di supportare eventuali soccorsi a migranti nel Mediterraneo. Dopo la partenza da Augusta, la nave è stata intercettata nella notte tra il 7 e l’8 ottobre da unità israeliane in acque internazionali. Gli equipaggi sono stati perquisiti, privati dei loro averi e dirottati verso una nave militare. Degli aiuti sanitari trasportati dalla Anima della mia animaad oggi, non si conosce ancora la sorte.
Dopo ore di attesa, sottoposti ad un escalation di violenze fisiche e verbali, gli attivisti sono stati condotti al centro immigrazione e poi al carcere di Kzairyoi. Qui Bresciani descrive condizioni igienico sanitarie gravissime: sporcizia, un solo rubinetto per bere e lavarsi dopo l’espletamento dei bisogni corporei con un rischio elevatissimo di trasmissione oro-fecale. Alcuni membri dell’equipaggio non hanno, inoltre, ricevuto farmaci salvavita. Sono state negate terapie anticoagulanti ed antiepilettiche. “Il cibo ci veniva dato come ad animali. La notte ci tenevano svegli con rumori, urla, luci accese. Era tortura psicologica”, ci dice il dottor Bresciani. Come medico ha cercato di segnalare la perdita di sensibilità alle mani dei compagni legati con fascette senza essere ascoltato.
Il dottor Bresciani, durante l’abbordaggio e la detenzione, si è trovato in una situazione di violenza e umiliazione ma ha percepito, pur in una situazione delicata, una forma di “protezione simbolica” legata alla sua identità: medico, italiano, europeo. Questo significa che, agli occhi dei militari israeliani, non era una “minaccia” o un “nemico”, ma una persona appartenente a una categoria socialmente e politicamente tutelata. Riconosce che il trattamento ricevuto, per quanto duro, non è paragonabile a quello riservato ai palestinesi i quali non godono di alcuna tutela. La popolazione palestinese vive quotidianamente violenze e privazioni molto gravi, senza alcuna garanzia di diritti o di protezione internazionale.
Attivarsi come atto politico, di cura
Come afferma la Dichiarazione di Ginevra dell’Associazione medica mondiale, i medici ( e tutti i professionisti della salute) devono agire nell’interesse dell’umanità, soprattutto in tempi di crisi. Attualmente il conflitto ha portato ad un bilancio di più di 64.000 persone uccise tra cui 20.000 bambini. Si prevede che questi numeri aumenteranno man mano che verranno ritrovati altri corpi che non è stato possibile recuperare durante l’offensiva israeliana. Il responsabile umanitario delle Nazioni Unite Tom Fletcher ha detto che le Nazioni Unite stanno cercando di aumentare drasticamente gli aiuti umanitari per Gaza. Le centinaia di camion di soccorso autorizzati a entrare nell’enclave devastata non sono minimamente paragonabili alle migliaia necessarie per alleviare un disastro umanitario. Per raggiungere gli obiettivi umanitari delineati nell’accordo di cessate il fuoco è necessario un ambiente favorevole tra cui un accesso garantito, illimitato e sicuro per la consegna di forniture essenziali attraverso tutti i canali e i valichi, una circolazione libera, sicura e incondizionata per la popolazione di Gaza e per gli aiuti umanitari, una protezione attiva dell’assistenza sanitaria e dei civili e un maggiore flusso di aiuti. Tenere viva l’attenzione su Gaza è oggi un dovere morale e professionale: significa non accettare la disumanizzazione e difendere il diritto universale alla cura.