I microbi “sepolti” nel permafrost si stanno davvero svegliando? Uno studio cerca di fare chiarezza

I microbi “sepolti” nel permafrost si stanno davvero svegliando? Uno studio cerca di fare chiarezza


Da tempo ormai si susseguono notizie che annunciano il ritorno in vita di virusbatteri e altri microrganismi rimasti per secoli, se non millenni, intrappolati nel permafrost – quella parte di terreno che rimane costantemente sotto gli 0°C per almeno due anni consecutivi – a causa del suo scongelamento. Dobbiamo preoccuparci? Più no che sìalmeno nell’imminente. Da uno studio pubblicato sulla rivista Giornale di ricerca geofisica: Biogeoscienze sembra infatti che il risveglio dei microbi congelati non sia poi così immediato. È un’eventualità remota e trascurabile allora? Ovvio che no: lo scongelamento del permafrost, con il conseguente rilascio di massicce quantità di serragas (in particolare metano – CH4 – e anidride carbonica – CO2) in esso intrappolate, è reale e il risveglio dei microbi al suo interno contribuirà in primis ad accentuare l’impatto ambientale. Capire di quanto è fondamentale per fare previsioni attendibili sul futuro del pianeta, e dunque nostro.

Gas serra dal permafrost

Il permafrostcome accennato, è il terreno che rimane al di sotto degli 0°C per due anni consecutivi. Nell’emisfero settentrionale occupa circa un quarto delle terre emerse. Il suo spessore è variabile (può arrivare a centinaia di metri di profondità) così come la sua antichità. È purtroppo un bersaglio altamente sensibile del cambiamento climaticotant’è che si stima che la sua temperatura salga in media di 1°C ogni dieci annida quando sono iniziate le misurazioni. Insomma, anche se è possibile un ampio margine d’errore a causa delle difficoltà di misurazione, è innegabile che il permafrost stia gradualmente scomparendo. Si tratta di un grosso problemasecondo la comunità scientifica, perché nel permafrost sono immagazzinate enormi quantità sia di anidride carbonica e metano sia di carbonio organicocioè quello che rimane di piante e animali che non si sono decomposti per via del freddo e che con il disgelo e il risveglio dei microbo verrebbe degradato e rilasciato in atmosfera.

Per svegliare i non-morti serve tempo

Proprio per cercare di capire quale contributo potrebbero dare al rilascio di gas serra i microbi sepolti nel permafrost scongelato, un team dell’’Università del Colorado Boulder (Usa) ha provato a riportarli in vita. I ricercatori hanno prelevato diversi campioni di permafrost più o meno antico dalla Centro di ricerca sul tunnel del permafrost in Alaska e li hanno incubati in differenti condizioni di temperatura. L’obiettivo era misurare il tasso di crescita microbico, la composizione delle colonie e le emissioni di anidride carbonica e metano conseguenti alla ripresa delle attività.

Mettendo i campioni di permafrost a temperature tra i 4°C e i 12°Ccioè in condizioni simili a quelle dell’estate in Alaska, gli scienziati hanno confermato che i microbo erano tutt’altro che morti: già dopo una settimana dal disgelo si vedevano segni di ritorno alla vita. Tuttavia, il risveglio vero e proprio non è stato immediato e le tempistiche differivano in base alla profondità a cui era stato prelevato il campione. I microbi dei campioni prelevati nel permafrost più profondo e antico, in particolare, erano cresciuti quasi impercettibilmente durante il primo mese in coltura (con una produzione di biomassa stimata tra lo 0,001% e lo 0,01% al giorno), e solo dopo 6 mesi si è assistito a una ripresa delle attività consistente e alla ricostituzione di comunità microbiche. Un dato interessante è che questo andamento è risultato indipendente dalla temperatura di disgelo, cosa che ha portato gli autori della ricerca a ipotizzare che sia la durata del disgelo la chiave di controllo della rianimazione delle colonie microbiche, unita alla disponibilità di nutrienti, alla composizione tassonomica (cioè a quali specie e ceppi microbici sono presenti) e ad altre caratteristiche microbiche intrinseche (i microbi di profondità, per esempio, sintetizzano molecole per costruire la propria membrana cellulare diverse da quelle dei microbi più superficiali – molecole che potrebbero dar loro una maggiore protezione nei confronti del gelo).

Simili osservazioni hanno portato i ricercatori a concludere che un così lungo periodo di latenza tra il disgelo e la riattivazione delle comunità microbiche potrebbe fare da tampone agli effetti sul riscaldamento globale: se il substrato si ricongelasse stagionalmente prima che il periodo di latenza sia terminato e se le condizioni rimanessero anaerobiche, la degradazione del carbonio organico intrappolato da parte dei microbi sarebbe pressochè scongiurata. Qualora le estati artiche si allungassero, invece, i rischi di maggiori emissioni e di contatto tra umani e microbi antichi aumenterebbero.

Quanto gas serra dai microbi?

Questa considerazione, tuttavia, non risponde a una domanda: quanto incide l’azione dei microbi redivivi sull’emissione di gas serra dal permafrost scongelato? Lo studio non fornisce un’indicazione chiara. Nelle condizioni anaerobiche testate, scrivono gli autori, IL CO₂ viene emessa più rapidamente dal permafrost di superficie rispetto a quello sotterraneo; al contrario, il CH4 viene emesso più facilmente dal permafrost sotterraneo. Purtroppo le misurazioni delle emissioni di CO₂ e CH₄ osservate durante le incubazioni del permafrost sono risultate eterogenee e difficili da prevedere. Le emissioni di gas serra dal permafrost profondo non seguono tendenze chiare in relazione alla temperatura di disgelo. Un’eterogeneità probabilmente dovuta alla combinazione di molteplici fattoritra cui le quantità di gas intrappolato, la composizione della comunità microbica, la temperatura di disgelo e la disponibilità di substrati organici e di ossigeno molecolare.

Conclusioni poco conclusive (si perdoni il gioco di parole), per il momento: sembra infatti molto difficile controllare tutte le variabili in gioco. L’impatto della degradazione del carbonio organico da parte dei microbi dal permafrost scongelato rimane, di fatto, ancora da decifrare.



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