“In un momento in cui le ragazze e le donne afghane sono private dei loro diritti più elementari, è profondamente preoccupante e inaccettabile vedere qualcuno che si reca in Afghanistan e fa lobby a favore dei talebani”, ha affermato Niloofar Naeimi, attivista per i diritti umani che si occupa delle questioni relative alle donne afghane.
Di opinione contraria invece la turista franco-peruviana Ilary Gomez, che con il suo compagno britannico ha visitato l’Afghanistan in camper. “Alcune cose non mi sono sembrate moralmente giuste”, ha detto. Ma ha aggiunto di non credere che la loro presenza abbia rappresentato una forma di sostegno ai talebani. “Viaggiando si mettono i soldi nelle mani delle persone, non del governo”, ha argomentato Gomez.
Chi sono i turisti che visitano l’Afghanistan
Secondo quanto riferito dai funzionari locali, i visitatori stranieri provengono perlopiù da Cina, Russia, IrlandaPolonia, Canada, Taiwan, Germania, Francia, Pakistan, Estonia e Svezia.
Molti si avventurano nel distretto di Bamiyan, a ovest di Kabul, per vedere i resti delle statue del Buddhascolpite nelle rocce più di 1.600 anni fa e demolite all’inizio del 2001 dai talebani per motivi ideologici. La maggior parte delle visite avviene senza particolari problemi, ma in questo luogo nella primavera 2024 tre turisti spagnoli sono stati uccisi nel primo attacco mortale contro turisti stranieri da quando i talebani hanno ripreso il potere.
Un altro argomento sensibile è la distruzione dei reperti archeologici e delle opere d’arte antiche compiuta dai talebani all’inizio del 2001 nel museo nazionale dell’Afghanistan, a Kabul, uno dei luoghi più visitati dai turisti.
Un dilemma morale e la questione sicurezza
Il problema, dunque, non è mostrare le bellezze dell’Afghanistan, la sua storia millenaria o l’accoglienza della gente. Il vero problema, dicono gli esperti, è quello che non viene raccontato, ovvero la difficile quotidianità alla quale sono costrette le persone che vivono sotto un regime autoritario che impone l’apartheid di genere, reprime ogni forma di dissenso e limita diritti civili, politici e giuridici.
“Non è che si vogliano incolpare solo gli influencer. Il problema è la comunicazione superficiale fatta sui social”, ha commentato a Cablato Eleonora Sacco, esperta di viaggi, fondatrice di Kukushka Tours, un operatore turistico specializzato in viaggi responsabili. “Gli influencer ovviamente hanno bisogno di fare visualizzazioni e contenuti accattivanti; dall’altro lato c’è un pubblico grandissimo che intercetta quei messaggi senza conoscere il contesto del paese. Di per sé magari non si tratta sempre di contenuti falsi o inesatti, ma se letti senza contesto portano a dei messaggi fuorvianti. Ciò non vuol dire che non si possa viaggiare in maniera sicura, o che non esistano zone relativamente sicure in paesi come l’Afghanistan o l’Iraq. Si può viaggiare in maniera sicura se sei nelle mani giuste, se sai dove stai andando, se hai buoni contatti, se conosci il contesto. Bisogna sempre tenere un comportamento e un abbigliamento adeguatibisogna avere rispetto e comprensione delle usanze locali. Tutte cose che non si riescono a comunicare in un reel di venti secondi su Instagram”.
