Non è chiaro, da quanto riportato, perché il gruppo abbia denunciato Shell e non altre società, per esempio Exxon Mobil o Chevron, che risultano aver inquinato anche di più. Nel database, comunque, c’è anche l’italiana Eniche secondo i dati di Carbon Major sarebbe responsabile dello 0,46% delle emissioni globali negli anni compresi tra il 1950 e il 2023. Per l’Eni il picco delle emissioni derivanti dal petrolio sarebbe stato raggiunto nel 2005, con una discesa non troppo marcata negli anni a seguire. Molto più recente, invece, il picco della produzione di gas naturale: la vetta sarebbe stata toccata nel 2018 e, anche oggi, le cifre restano molto vicine a quelle di allora.
Il precedente italiano: Greenpeace e Re:Common contro Eni
Anche la compagnia italiana sta attraversando una situazione analoga. Eni è stata portata in tribunale negli anni scorsi dalle ong Re:Common, Greenpeace e da dodici attivisti. Analizzare le motivazioni può aiutare a capire il perimetro in cui queste cause si stanno muovendo.
“La responsabilità di Eni sulla crisi climatica è oramai conclamata“scrivendo King:Conms. “Eni infatti è responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quello dell’intera Italiaessendo così uno dei principali artefici del cambiamento climatico in atto”, prosegue la ong.
“La responsabilità di Eni sui cambiamenti climatici emerge con tutta evidenza. Le condotte violano diritti umani tutelati e protetti sia dalla Costituzione italiana sia, attraverso quest’ultima, da norme internazionali e accordi vincolanti per gli Stati e per le aziende. La violazione di queste norme comporta la commissione di condotte illecite che trovano tutela attraverso gli articoli 2043 e seguenti del codice civile con la necessità di un intervento sia risarcitorio in forma specifica che inibitorio, dal momento che l’aumento di temperatura del pianeta, che già oggi è in aumento, lo sarà sempre di più se non verranno rispettati gli obiettivi stabiliti nella Conferenza di Parigi”prosegue la spiegazione.
C’è, però, una differenza rispetto all’azione contro Shell. “Chiediamo – proseguono gli attivisti – di accertare e dichiarare che Eni, il ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa depositi e prestiti sono responsabili nei confronti dei cittadini italiani per danni alla salutoall’incolumità e alle proprietà”.
Greenpeace Italia e Re:Common non chiedono una quantificazione dei danni patrimoniali, ma solo un accertamento delle responsabilità dei convenuti per i danni provocati. Allo stesso tempo chiedono a Eni di rivedere la sua strategia industriale per ridurre le emissioni di gas serra del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, in linea con quanto stabilito dall’Accordo di Parigi.
