Abituati alle immagini di tavole imbandite per Natale e di gruppi che vi sgomitano intorno, alle volte ci dimentichiamo delle assenze. Delle sedie rimaste vuote. Quella di una persona cara, morta anni prima. Quella di un affetto che non chiamiamo più tale. Quella occupata a lungo da chi ora si trova lontano. Soffermatevi sul disagio, sul dolore, sulla vertigine che vi provoca il pensiero di quella sedia vuotain un giorno di festa. E ora pensate alla sofferenza della famiglia di Alberto Trentini.
Questo sarà il secondo Natale in carcere per Alberto Trentini. Il secondo lontano dalla sua famiglia. Il secondo in un carcere di massima sicurezza in Venezuela. Perché? Chi lo sa. Le accuse che hanno motivato l’arresto di Alberto, cooperante internazionale, il 15 novembre 2024 mentre si stava spostando dalla capitale Caracas al sud-ovest del paese per una missione umanitaria della ong Humanity & Inclusion, non sono mai state formalizzate. Da allora i giorni passano, hanno superato quota 400 e Alberto continua a essere detenuto a El Rodeo Inello Stato di Miranda, struttura situata a circa trenta chilometri da Caracas e nota per le condizioni difficili e per ospitare molti prigionieri politici del regime del presidente Nicolas Maduro.
Da più di un anno la vita di Alberto è rinchiusa in quella prigione. Là ha compiuto 46 anni, lo scorso 10 agosto. Da là ha potuto telefonare, tre volte in tredici mesi, alla famiglia che si batte senza sosta per la sua liberazione.
Nei giorni scorsi la madre, Armanda Colusso Trentiniha affidato a una lettera il suo ennesimo appello alle istituzioni: “Non mi do pace. In questi 13 mesi di prigionia ad Alberto è stata negata la vita e io continuo a sollecitare un intervento incisivo per la sua liberazione e a protestare. Mi chiedo perché non si è colta l’occasione della stretta di mano tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la ministra dell’Istruzione venezuelana lo scorso ottobre. Il governo svizzero si è recato a Caracas a riprendersi un suo prigioniero e più di recente anche la Francia. Ora che si avvicina Natale ci viene spontanea questa riflessione: Alberto dovrà trascorrere un altro Natale in cella. Non dobbiamo arrenderci. Alberto deve tornare a casa”.
