Il riconoscimento dello Stato palestinese è una leva politica su Israele solo se non resta una bel pensiero su carta

Il riconoscimento dello Stato palestinese è una leva politica su Israele solo se non resta una bel pensiero su carta


Una risposta nei fatti

Occorre che Parigi e Londra agiscano. Che diano seguito a un riconoscimento che non può essere solo formale, ma anche fattuale. E i fatti sono un conteggio di 60mila morti nella sola Striscia di Gaza dall’inizio dell’occupazione nell’ottobre 2023. Vittime falcidiate mentre cercavano di raggiungere gli scarsissimi aiuti umanitari. UN carestia gravissima. Il 60% circa di edifici distrutti o danneggiati. L’impossibilità di garantire cure mediche e assistenza sanitaria. Un genocidio. A cui si somma l’occupazione illegale e sempre più violenta della Cisgiordania. Di pezzi di carta ben scritti, altrimenti, il popolo palestinese ne fa poco. Né ci mangia né si protegge dalle bombe.

Sulle spalle del presidente francese Emmanuel Macron, in particolare, insiste la responsabilità di non limitarsi ad agire in maniera indipendente. La Francia deve spingere l’Unione europea ad avere una voce sola su Israele. Una voce sola che condanni il genocidio e agisca per fermarlo. L’ispirazione va cercata nell’azione ancora più incisiva intrapresa dal governo della Slovenia, che giovedì 31 luglio ha stabilito il blocco all’export di armi verso Israele. Ma quest’Unione europea in cerca d’autore non può permettersi di galleggiare a traino della buona volontà di pochi. Né può indicare in futuro a maggioranze variabili la strada per districarsi dai rovi di opposizioni e astensioni che fanno a brandelli il suo concetto di unanimità.

L’Europa deve trovare una voce

Se davanti all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia l’Europa, seppur balbettando, ha saputo trovare un travagliata strada per rispondere all’aggressore, davanti al genocidio del popolo palestinese non può esitare. Se l’Europa ha nei diritti umani l’ultimo baluardo con cui tenta di preservare un suo senso politico nel mondo, allora non può farli valere in un caso e non nell’altro. Pur di fronte a un cinismo di una real politik che induce a desistere, numeri alla mano, per evitare nuove divisioni, deve ritrovare uno slancio di idealismo e di giustizia. Un senso agli occhi delle tante persone che hanno chiaro quello che sta succedendo in Medio oriente.

Ad aprile l’Unione europea si è impegnata a versare 1,6 miliardi di euro all’Autorità palestinese per sostenere la popolazione nell’ambito di un piano pluriennale e nelle scorse ore ha stabilito un versamento di 22 milioni per pagare i trasferimenti da Gaza e Cisgiordania per le cure negli ospedali di Gerusalemme est. Sono azioni meritevoli, ma che non reggono l’impatto della violenza che Israele sta esercitando. Aiuto non può essere solo pagare la sanità perché non tracolli. È far sì che la gente in ospedale non ci debba andare perché è sotto le bombe.

Serve un salto di qualità nella risposta e nella compattezza della scelte. Che faccia sentire a tutte quelle persone israeliane che non si riconoscono nella scelleratezza del loro governo che non sono sole, che il mondo non si è assuefatto alle atrocità perpetrate da Netanyahu. Che dimostri a Trump che esiste un polo alternativo agli equilibri globali che sta distruggendo e che il suo appoggio incondizionato a Tel Aviv ha un prezzo. E, sopra e prima di tutto, che intervenga per interrompere lo sterminio in corso.



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