Lo scorso ottobre Dji Aveva portato in tribunale il Dipartimento della Difesa statunitense (DoD), contestando l’etichetta di azienda militare cinese; il verdetto è arrivato, e non è a favore del colosso dei droni. La motivazione del giudice federale Paul Friedman non è incentrata sul merito o meno di questa valutazione, ma sul fatto che il DoD gode di una discrezionalità molto ampia sulla questione. In altre parole: a prescindere dal grado di veridicità, il DoD ha deciso così, e quindi è così.
Il verdetto conferma infatti che non è stato possibile dimostrare che DJI sia “indirettamente controllata dal Partito Comunista Cinese”come sosteneva il Dipartimento; tuttavia, Friedman ha ritenuto sufficiente il supporto e il riconoscimento da parte del governo di Pechino per definirla un “contributore alla fusione militare-civile”, criterio che basta per applicare la designazione che DJI cerca di eliminare.
Nella sentenza si riconosce che alcune argomentazioni del DoD erano deboli o confuse: per esempio il governo USA ha sbagliato a identificare le zone industriali cinesi dove DJI produce i suoi droni. Tuttavia, il fatto che la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma della Cina abbia riconosciuto DJI come “centro tecnologico aziendale nazionale”, con accesso a sussidi, agevolazioni fiscali e supporto finanziario, ha pesato nella decisione finale.