I nuclei galattici attivi sono tra le strutture più luminose dell’Universo, e si ritiene consistano in Supmassion Holy Holes circondati da un discoteca di accrescimento (materia che precipita costantemente al suo interno) che si riscalda per attrito e produce radiazioni elettromagnetiche. Per giustificare le osservazioni del telescopio Webb, i buchi neri in questione dovrebbero essere realmente enormie in numero elevatissimo. Un altro particolare che mal si adatta ai modelli cosmologici disponibili. E che lascia pensare a molti astronomi che, anche in questo caso, la spiegazione del mistero andrebbe cercata altrove.
La nuova ricerca
Tra i team interessati a risolvere il mistero c’è quello del programma Rubies (Sondaggi rossi: sondaggio extragalattico a infrarossi luminosi), Guida Dall’astronoma Anna de Graaff del Max Planck Institute for Astronomy. Nel loro ultimo lavoro, i ricercatori descrivono i risultati di una campagna di osservazioni effettuata lo scorso anno con lo spettrografo del telescopio James Webb.
“In questo dataset abbiamo individuato 35 piccoli puntini rossi, molti dei quali erano già stati osservati utilizzando e immagini rilasciate da Jwst”, racconta Raphael HvidingDel Max Planck Institute for Astronomy. “Quelli che sono risultati nuovi, però, sono anche quelle che si sono rivelati più estremi ed affascinanti“.
Uno su tutti, un oggetto battezzato dai ricercatori “La scogliera”, caratterizzato da un repentino e picco nella regione ultravioletta del suo spettro (da qui il nome). Incuriositi, i ricercatori hanno tentato di replicare le caratteristiche spettroscopiche dell’oggetto utilizzando una serie di simulazioni in cui il puntino rosso in questione era una galassia estremamente densa o un nucleo galattico attivo, senza ottenere successo. A questo punto, hanno provato ad elaborare un’altra ipotesi.
La stella buco nero
Il nuovo modello messo alla prova prevede un nucleo galattico attivoe quindi un buco nero supermassiccio con il suo discoteca di accrescimentocircondato però non da polvere cosmica, ma da uno spesso strato di idrogeno. In questo senso, quindi, somiglierebbe ad una stella: come una stella, avrebbe un nucleo che riscalda gli strati gassosi più esterniche in questo caso non è però un nucleo stellare alimentato dalla fusione nucleare, ma un buco nero con il suo disco di accrescimento riscaldato dall’attrito.
Messo alla prova con le loro simulazioni, questo modello è risultato in grado di spiegare le caratteristiche dei puntini rossi molto meglio delle due ipotesi precedenti. Questo non significa che il caso sia chiuso. Rimangono molti elementi oscuri e domande senza risposta: come si formerebbero simili oggetti cosmici? Come fa l’idrogeno che li incapsula a non esaurirsi rapidamente (e da dove viene il materiale con cui si ricarica questo guscio gassoso)?
Serviranno anni per approfondire questi aspetti, e stabilire se questi strani buchi neri hanno buone probabilità di esistere davvero, e se possono spiegare l’esistenza dei piccoli puntini rossi osservati dal James Webb. Si tratta comunque di un’ipotesi promettente, che continuerà ad essere testata dai suoi autori nel corso di nuove campagne di osservazione con il telescopio spaziale.