La Casa Bianca ha sviluppato un’improvvisa intolleranza verso la pasta italianama il problema non sta nei carboidrati: sta nel Prezzo. Anche uno dei prodotti simbolo del realizzato in Italia è finito nella guerra commerciale che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump porta avanti dal suo ritorno al potere. Secondo le autorità americane, i produttori italiani avrebbero praticato prezzi inferiori al valore reale del prodotto, configurando un caso di dumping. Da qui la decisione di imporre dazi complessivi del 107% su oltre dieci pastifici italiani a partire dal 1 gennaio 2026. La misura, descritta in un documento del dipartimento del Commercio del 4 settembre, aggiungerebbe un’aliquota del 91,74% ai dazi generali del 15% già in vigore per le merci europee. Tra i marchi colpiti ci sono Rummo, Sgambaro, Barilla, Garofalo e La Molisanache insieme esportano negli Stati Uniti circa 700 milioni di euro di prodotti l’anno. Un mercato strategico, secondo solo a quello europeo, per un comparto che vale complessivamente 8,7 miliardi. Il provvedimento si applicherebbe retroattivamente per dodici mesi, imponendo il pagamento dei dazi anche sulle importazioni concluse nel 2025.
Le conseguenze per il settore della pasta italiana
La decisione ha generato reazioni immediate da parte dei produttori italiani, che contestano la metodologia applicata dalle autorità statunitensi. Intervistato dal Sole 24, Cosimo Rummopresidente dell’omonimo pastificio di Benevento, ha definito la misura “una pazzia”sottolineando come la sua azienda venda negli Stati Uniti confezioni da 454 grammi all’equivalente di 4,5 euro, un prezzo difficilmente compatibile con accuse di vendita sottocosto. L’elemento più contestato dalle aziende italiane coinvolte riguarda la retroattività dei dazi: dal primo gennaio 2026, i produttori dovrebbero versare le aliquote non solo sulle importazioni future, ma anche per quelle effettuate nei dodici mesi precedenti, creando un onere finanziario immediato. I margini di dumping riscontrati dal Dipartimento del Commercio, pari al 91,74%rappresentano un record storico per questo tipo di verifiche sul settore della pasta.
Nel 2024, l’Italia ha esportato oltre 2,4 milioni di tonnellate di pasta, pari al 58% della produzione nazionaleper un valore complessivo di 4 miliardi di euro. Gli Stati Uniti assorbono circa il 10% delle esportazioni globali del prodotto, posizionandosi come seconda destinazione dopo i mercati dell’Unione europea. Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giappone si confermano i cinque principali importatori. Un dazio al 107% rischierebbe di rendere antieconomica la commercializzazione della pasta italiana oltre Atlantico, favorendo produttori locali oppure prodotti di imitazione del made in Italy, il fenomeno noto come suono italiano.
Secondo gli esperti, le conseguenze economiche si estenderebbero oltre i pastifici. In un’intervista all’Adnkronos Margherita Mastromauropresidente dei Pastai italiani di Unione italiana food, ha evidenziato come il danno coinvolgerebbe l’intera filiera del grano durocolpendo agricoltori, mulini e tutto l’indotto. Alcuni produttori – fa sapere il Sole 24 Ore – avevano in programma investimenti rilevanti sul mercato statunitense proprio per il 2026: piani che ora rischiano di essere rivisti o annullati, costringendo le aziende a dirottare verso l’Europa i volumi destinati agli Stati Uniti, con possibili effetti sui prezzi interni. Dal punto di vista istituzionale, sia la Commissione europea che il governo italiano hanno avviato azioni coordinate. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e il ministero degli Affari Esteri hanno aperto interlocuzioni con l’amministrazione statunitensecercando di ottenere una revisione della misura prima che diventi definitiva. Diversi pastifici hanno già presentato appello attraverso i propri legali americani.
La strategia protezionistica della nuova amministrazione Trump
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025 ha segnato una svolta radicale nella politica commerciale americana. Il presidente ha ripreso e intensificato la filosofia protezionistica già emersa durante il suo primo mandato, basata sul principio che gli accordi commerciali internazionali abbiano danneggiato l’industria manifatturiera statunitense. Lo scorso 27 luglio, Trump e Ursula von der Leynpresidente della Commissione europea, avevano raggiunto un accordo commerciale che stabiliva dazi al 15% sulla maggior parte delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti. L’intesa, presentata come una soluzione per evitare un’escalation protezionistica, aveva lasciato aperti diversi fronti negoziali, tra cui acciaio, alluminio e settori specifici sottoposti a indagini di sicurezza nazionale. L’obiettivo dichiarato dai negoziatori statunitensi sarebbe quello di riequilibrare il deficit commerciale americanospingendo le aziende straniere a delocalizzare la produzione negli Stati Uniti attraverso la minaccia di dazi elevati. Bruxelles aveva accettato l’accordo sotto la pressione di tariffe potenzialmente più alte, impegnandosi ad acquistare 750 miliardi di dollari di energia americana e a ridurre le proprie aliquote sui beni industriali statunitensi.
L’attuale caso della pasta, tuttavia, dimostra come l’amministrazione americana stia utilizzando strumenti giuridici diversi dai classici dazi per imporre barriere commerciali ulteriori rispetto a quelle concordate bilateralmente con l’Europa. L’antidumpinginfatti, è una misura commerciale a parte, applicabile quando un’autorità rileva vendite sui mercati esteri a prezzi inferiori rispetto al valore normale di mercato interno. Il Dipartimento del Commercio americano conduce annualmente verifiche sulle importazioni di pasta italianama raramente tali indagini si concludono con aliquote superiori all’1-2%. Nel caso specifico, l’inchiesta avrebbe preso di mira inizialmente due aziende, La Molisana e Garofalo, accusate di aver effettuato vendite sottocosto tra il primo luglio 2023 e il 30 giugno 2024, per poi estendere automaticamente le conclusioni ad altri undici produttori senza verifiche individuali approfondite.