Ma prima di cominciare, un importante disclaimer. La storia di Mitchell non è in alcun modo un invito a “provare” a ripetere le sue esperienze (né quelle di Fellini): assumere droghe psichedeliche può avere effetti molto pericolosi, la maggior parte dei quali imprevedibili e inesplorati.
Dottor Mitchell, nel suo libro parte da una posizione di scetticismo, o quantomeno di ambivalenza, rispetto al rinascimento psichedelico. Quali erano le affermazioni, scientifiche o mediatiche, che la lasciavano più perplesso?
In generale, l’idea che si trattasse di una rivoluzione. Nell’accezione più prudente, una rivoluzione nella salute mentale; in quella meno prudente, la soluzione a una vasta gamma di problemi psichiatrici. A livello scientificosi sentivano affermazioni decisamente iperboliche su come le sostanze psichedeliche potessero “richiamo” il cervello, mobilitare la plasticità neuronale e che i cervelli, sotto la magia di questi composti, sarebbero cambiati. Ho letto rapporti su cure improvvise, spettacolari e permanenti di malattie mentali. La mia esperienza di clinico è che tendenzialmente le malattie mentali non rispondono in questo modo.
Eppure, nonostante questo scetticismo, ha deciso di intraprendere questo viaggio in prima persona. Quanto c’era di personale, radicato nella sua storia, nelle sue esperienze e nei suoi traumi, e quanto di puramente scientifico?
C’era sicuramente una profonda ambivalenza. Da un lato, quella professionale rispetto alle affermazioni che le ho appena citato. Dall’altro, la mia ambivalenza psicologica personale verso le droghe, avendo avuto problemi di dipendenza in passato e avendo trascorso gli ultimi 25 anni in completa astinenza. Poi, però, ho cominciato a parlare con persone che, pur avendo sperimentato a lungo queste sostanze, mi sembravano equilibrate, e sostenevano che l’uso degli psichedelici potesse avere qualcosa di diverso rispetto al cosiddetto uso ricreativo, e questo ha cominciato a stuzzicare il mio interesse. Tra l’altro, tutto ciò è avvenuto in un momento in cui la mente non era in gran forma: stavo attraversando un momento di grande dolore – era morto da poco un mio caro amico di sclerosi laterale amiotrofica, a mia figlia era stata diagnosticata una grave malattia e mio padre era appena scomparso – e questo accumulo di sofferenza mi ha reso più fragile e vulnerabile. E poi, devo ammetterlo, c’era anche il mio spirito punkemerso come “contrappeso” di anni di lavoro in un ospedale piuttosto ortodosso. L’idea di buttarmi in questa arena per un po’ mi è sembrata eccitante.
Vorrei entrare con lei in alcune tappe del suo viaggio. Il racconto della sua prima esperienza con l’ayahuasca è terrificante, e ne parla come di un evento che ha diviso la sua vita in due. Cosa è successo?
Chiaramente anche quell’affermazione è un’iperbole. Credo che sia abbastanza comune avere il terrore della follia, nel senso di perdita del nucleo della propria identità. È un terrore che può manifestarsi ed essere gestito in molti modi: personalmente, ho avuto un’infanzia abbastanza difficile, e sono sempre stato preoccupato per la mia sanità mentale, per l’eventualità di perdere il controllo della mia mente. Nel trip con l’ayahuasca, mi sono trovato faccia a faccia con quel terrore. La sostanza era così potente che ogni tentativo di ristabilire un controllo, internamente o a livello comportamentale, è stato inutile. Ne sono stato completamente sopraffatto. Anche il panico, che a un certo livello è la manifestazione del tentativo di riprendere il controllo, non faceva altro che alimentare la sensazione di perderlo. In questo modo sono arrivato a un’impassea una sconfitta. Ed è stato terrificante. Sentivo di avere anguille che si contorcevano dentro di me, minacciando di squarciarmi dall’interno. Il giorno dopo, mentre l’effetto della sostanza stava svanendo, ero ancora in uno stato di choc e paura, e lo sciamano che mi aveva guidato mi ha convinto a ripetere l’esperienza: inizialmente non avevo alcuna intenzione di farlo, ma alla fine ho accettato. Ed è stata la svolta: ho vissuto esattamente le stesse sensazioni, ma da una prospettiva completamente diversa. La mia paura della follia e i miei tentativi di ristabilire il controllo erano diventati comici. Osservare la mia paura da un’altra angolazione l’ha disinnescata, e da quel momento il terrore della follia non ha avuto la stessa presa su di me. Questo, naturalmente, non significa che sia così per tutti: molte persone restano traumatizzate a vita da eventi simili, un rischio che la letteratura scientifica tende a sottovalutare.