L’ipotesi è che possa ricadere sotto l’etichetta di “prima visione” ogni debutto di un contenuto su una nuova piattaforma (per esempio, una serie che prima va in streaming e poi viene ceduta a un’emittente) ma questo significa aumentare le occasioni in cui possono scattare segnalazioni su Piracy Shield. E anche il numero di segnalatori, con il conseguente rischio di errori. Dai cinque detentori di diritti dello sport si passerà a un numero ancora imprecisato.
I limiti agli Ip da bloccare
Nel concreto questo si traduce in un incremento dei domini che gli operatori devono mantenere oscurati. Nella fase 1, quella sportiva, aziende di telecomunicazioni e Agcom si era accordate per un tetto massimo, che fosse sostenibile per le prime senza investimenti dedicati, dato che la seconda non ha mai sganciato un euro per questa attività. L’intesa fissava a 18mila Fqdn e 15mila indirizzi Ipv4, secondo quanto appreso da Cablatola soglia limite. Soglia sfiorata in coda al campionato 2024. Per questo Agcom ha riconosciuto agli operatori di poter sbloccare i domini dopo sei mesi. Consapevole che, proprio per via degli Ip dinamici, oscurarli a vita non serva a niente.
Sulla carta l’ampliamento del raggio di azione della piattaforma non mette limiti. Ma di limiti ne ha la memoria dei router degli operatoriche quindi vogliono discutere di soglie da rispettare. Specie a fronte di zero impegni da parte dell’Autorità a ristorare il loro lavoro. O a farlo pagare ai detentori dei diritti. Circolano stime di diversi milioni di euro che servirebbero a ripagare le corvée delle compagnie di telecomunicazioni.
I rapporti con gli Stati Uniti
L’ultimo nodo riguarda i rapporti con gli Stati Uniti. La situazione è delicata, dato che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rivendica il legame speciale con il presidente Donald Trump, ma quest’ultimo ha spesso battuto i pugni contro le regole europee che limitano il business delle sue aziende. E Piracy Shield è finito nel mirino di un’associazione industriale del settore, la Coalizione per le infrastrutture di internetche conta 38 aziende che operano con tecnologie di rete e servizi online. Tra loro Google, servizi web Amazon e Cloudflare. Quest’ultima ha più volte preso parola per denunciare gli errori di Piracy Shield.
IL Associazione dell’Industria Informatica e delle Comunicazioni (Ccia), di cui fanno parte Google, Meta, Amazon, ha denunciato gli errori di progettazione e i meccanismi di assegnazione del progetto alla Commissione europea, accedendo un faro sul rischio che Piracy Shield violi il regolamento europeo sui servizi digitali (Dsa)di cui peraltro Agcom è l’ente responsabile in Italia. Di recente Ccia si è unita ad altre cinque associazioni per contestare l’equiparazione degli operatori di Cdn a quelli di telefonia paventata dal Garante.
UN Cablato l’associazione conferma “un dialogo attivo” con le autorità. Segno che stavolta l’industria a stelle e strisce vuole fare sentire la sua ai tavoli del Piracy Shield. E chissà se questa attenzione spingerà il governo a rivedere l’appoggio incondizionato al progetto, che ha già fatto saltare gli equilibri dentro l’autorità stessaspaccando in due il consiglio di Agcom ai tanti voti sul futuro di Piracy Shield. L’ultima incognita sono i tempi. Se queste sono le premesse degli incontri di fine ottobre, il blocco esteso della piattaforma potrebbe slittare al 2026.