Come ogni anno, la Cop sarà un gigantesco esercizio di geopolitica collettiva e multilateralismo. Un esercizio ormai unico e non più raro. Dopo il vertice (forse è meglio definirla passerella) dedicato ai capi di stato e di governo del 6 e 7 novembre, che però vedrà molte assenze importanti in favore di ministri e ministre più o meno competenti, si entrerà nel vivo dei lavori negoziali, con funzionari e delegati.
Come arriviamo alla Cop30 di Belém
Belém eredita la stanchezza di Baku, dove la Cop29 si era chiusa a notte fonda con un compromesso sulla finanza climatica da 300 miliardi di dollari all’anno da qui al 2035 per finanziare la transizione ecologica nei paesi del sud del mondo, molto spesso anche i più vulnerabili alle conseguenze peggiori. Una cifra lontanissima dagli 1.300 miliardi annui necessari, secondo quanto stimato anche dagli economisti, ma sufficiente a tenere in piedi la struttura.
L’India l’ha definita, e a ragion veduta, “una somma irrisoria”le isole del Pacifico hanno parlato di “tradimento” e Simon Stiell, segretario esecutivo dell’Unfccc, ha spiegato che “nessuna nazione ha ottenuto ciò che voleva, ma si è evitato il collasso del sistema Cop”. È nata così la tabella di marcia da Baku a Belémcon l’impegno a rivedere quell’accordo e a trovare nuovi strumenti finanziari, questa volta più equi e meno impostati sulla creazione di debito. In altre parole: non più beneficenza o gentili concessioni, ma giustizia climatica. Già, perché – ricordiamocelo – la crisi di oggi è frutto delle emissioni di una manciata di paesi del Nord globale.
È l’anno dei nuovi Contributi determinati a livello nazionale
Questa volta, però, la Cop30 non parlerà solo di soldi. Sarà anche l’anno in cui i paesi dovranno presentare i loro nuovi piani climatici volti alla riduzione (mitigazione) delle emissioni di gas serracome previsto dall’Accordo di Parigi, il primo e unico trattato internazionale sul clima firmato nel 2015. Queste promesse vengono chiamate Contributi determinati a livello nazionale (NDC). E, dopo il bilancio sulla riduzione delle emissioni, il Bilancio globale presentato alla Cop28 di Dubai che aveva certificato il ritardo collettivo sul contenimento dell’aumento della temperatura media globale nel solco degli 1,5 gradi Celsius suggeriti dalla scienza, Belém sarà cruciale. Perché oggi il mondo viaggia ancora verso un aumento di 2,5 gradida qui a fine secolo. Eppure gli Ndc sono stati presentati da meno della metà dei paesi. Persino l’Unione europea ha trovato un accordo all’ultimo minutodopo quasi due anni di tempo avuto a disposizione.
Il ruolo del Brasile
Per il Brasile è anche una prova di credibilità. Da un lato, il presidente Lula e la ministra dell’Ambiente e del Clima Marina Silva vogliono mostrare al mondo l’impegno del paese nel proteggere le foreste (è arrivato l’annuncio di un nuovo fondo in tal senso); dall’altro, devono fare i conti con una industria dell’agricoltura fin troppo potente e con la necessità di continuare a crescere economicamente per far uscire più brasiliani possibile dalla condizione di povertà. L’Amazzonia racchiude tutte queste ambiguità: laboratorio di soluzioni basate sulla natura e, allo stesso tempo, specchio delle contraddizioni di un modello di sviluppo che non ha ancora trovato alternative reali a monocolture, allevamenti intensivi e consumo di suolo. È per questo che molte ong e osservatori parlano di una “Cop della verità”. È la conferenza dove la retorica del Sud globale dovrà scontrarsi con le sirene delle multinazionali.
