E quindi, questo rapporto tra AI e diritto d’autore come lo dobbiamo intepretare?

E quindi, questo rapporto tra AI e diritto d’autore come lo dobbiamo intepretare?


La creatività umana si esprime attraverso la tecnica. Non conosciamo altro metodo: che sia la parola, il canto, il disegno o qualsiasi altra forma dell’agire, occorre comunque una tecnica per dare espressione alla capacità umana di crearedi superare quanto già conosciuto, di inventare qualcosa di non esistente prima e, in questo modo, dare prova di esistere nel presente e di collocarsi nel futuro.

Appare ad alcuni che la cosiddetta “Intelligenza Artificiale” vada oltre ogni strumento sia stato fin qui realizzato, potendo autonomamente produrre oggetti, tra cui la musica, che sin qui solo la mente umana era capace di generare ex-novo. In realtà, questa visione è viziata dal credere che un automatismo compositivo di una macchina sia paragonabile all’inventare della nostra mente.

Il nostro pensiero si basa su concetti, sulla capacità di leggere quanto ci sta attorno in maniera complessiva e interpretare quella visione di insieme secondo le nostre esperienze. L’impostazione digitale è del tutto differente e si basa sulla capacità descrittiva di singoli aspetti di un evento: se per le persone il concetto di “febbre” riepiloga uno stato di salute, in un computer esso diventa solamente il superamento di una soglia di temperatura e l’etichetta “febbre” ad esso è puramente convenzionale.

Si pensi ad una semplice calcolatrice: risolvere 2 + 2 dando come risultato 4 non vuol dire in alcun modo che essa conosca il concetto umano di “due” né quello di “addizione” né quello di “risultato” e tanto meno quello di “quattro”: il patrimonio semantico è solamente umanoe solo l’umano può decidere di condividere con la macchina quello simbolico, così da renderlo utilizzabile dallo strumento digitale.

Afferrato questo concetto, si capisce come ogni creazione della macchina digitale (nella forma di Intelligenza Artificiale o in qualsiasi altra) non sia che una combinazione più o meno sofisticata di simboli matematici, senza che essa abbia alcun valore semantico, tanto meno spirituale. È quanto accade ad una partitura, in fondo: solo la capacità di dare senso alla scrittura simbolica sul rigo musicale crea la capacità di percepire la musica senza che essa sia stata prodotta e successivamente il suo effetto sulla personale sensibilità di chi la interpreterà o ascolterà.

In questo quadro di riferimento, l’AI può considerarsi capace di creare arte?

Se si considera che l’AI è esclusivamente in grado di simulare statisticamente la scrittura simbolica in forme differenti, magari ispirandosi a questo o quell’artista (cioè replicandone le caratteristiche stilistiche, indipendentemente dal suo intento espressivo), la risposta non può che essere negativa.

L’arte implica infatti una volontà, entità che, come ogni altro concetto umano, non appartiene né può appartenere alla macchina.

La volontà artistica non è solo di tipo direttamente creativo ma può essere anche legata alla scelta di rappresentare qualcosa attraverso oggetti selezionati dall’artista. Per fare un esempio massimamente chiaro, si pensi a quando Marcel Duchamp scelse un orinatoio come oggetto artistico; egli aveva a disposizione un certo numero di prodotti finiti di quel tipo, disponibili sul mercato, e ne scelse uno specifico, “quel” modello di quel costruttore.



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