“Il rosso che vedo io è uguale al rosso che vedi tu?”. È una delle domande che da bambini ci siamo fatti tutti, almeno una volta: se per secoli la risposta è stata un’alzata di spalle, oggi la neuroscienze parla in modo più preciso. E dice che no, probabilmente non vediamo la stessa cosa. Anzi, per dirla tutta, che quel rosso, fuori dalla nostra testa, nemmeno esiste. Il mondo, difatti, è fatto di radiazioni e superfici che riflettono la lucema il colore è una specie di allucinazione controllatauna costruzione biologica creata dai nostri circuiti neurali; ma c’è anche dell’altro, ancora più sconvolgente. Il nostro (personalissimo, a questo punto) pensiero del rossocosì come di qualsiasi altra cosa, non è una nuvola astratta, un software puro che gira sull’hardware del cervello: al contrario, le idee sono fisiche. Cose come la giustiziaIL matematical’amore sono tutti concetti incarnatipossibili grazie allo stesso materiale biochimico che ci permette di muovere il braccio e sentire il calore del sole. Queste le vertigini al centro di La mente neurale. Come pensa il nostro cervellosaggio appena arrivato nelle librerie italiane per Roi Edizioniscritto a quattro mani da George Lakofftra i più eminenti linguisti cognitivi al mondo, che ha cambiato il nostro modo di vedere le metafore, e Srini NarayananDirettore della ricerca senior presso Google DeepMind a Zurigo e docente (tra le altre cose) allo Istituto per le Scienze del Cervello e delle Cognizioni alla Università della California, Berkeley.
Il libro di Lakoff e Narayanan, in effetti, è un manifesto scientifico e tecnologico, nel solco della cosiddetta “terza rivoluzione cognitiva”quella che, nel momento di massima esplosione delle intelligenze artificiali e dei modelli di linguaggio, sposta l’asse dell’indagine dall’idea di una “mente computazionale”in cui si considera il cervello come una sorta di supercomputer in grado di elaborare simboli astratti, a quella di una “mente incarnata” e neurale, per l’appunto, in cui il pensiero è una simulazione fisica radicata nella biologia. Il cuore teorico del libro, in particolare, cerca di smantellare il dualismo cartesiano che per secoli ha dominato il pensiero occidentalee cioè quello tra pensare alle cose (cosa pensanteossia realtà immateriale e spirituale, caratterizzata da pensiero, consapevolezza e libertà e corrispondente all’anima e alla mente) e vasta ris (cosa estesaossia realtà materiale e fisica, definita dall’estensione nello spazio, inconsapevole, meccanica e determinata da leggi fisiche). Secondo gli autori, il pensiero è in realtà “incarnato” (incarnato) in sistemi di circuiti, evolutivamente e biologicamente vincolati: il cervello agisce come un filtro neurale capace di accogliere le idee che la sua architettura può sostenere. Una visione del genere, come vedremo tra poco, ha conseguenze molto profonde, e in particolare smonta pezzo per pezzo l’illusione che i grandi modelli di linguaggio possano replicare la mente umana semplicemente macinando dati: senza un corpo c’è calcolo ma non c’è vera comprensione. Abbiamo intervistato Narayanan per farci raccontare il senso profondo di questo cambio di prospettiva e le sue implicazioni per la neuroscienza e per la tecnologia.
Professor Narayanan, il vostro libro si apre con una tesi provocatoria. Concetti astratti come giustizia e matematica sono entità fisiche, biologiche, quanto lo è il nostro sistema immunitario. Può spiegarci come sia possibile? Come fa un’idea non fisica a diventare un circuito fisico nel cervello?
Costruiamo la nostra “comprensione” delle entità non fisiche a partire dall’esperienza che facciamo del mondo sociale e fisico in cui siamo sempre immersi. Già subito dopo la nascita, abbiamo interazioni che correlano entità fisiche osservabili (il calore, la vicinanza fisica, la grandezza, l’altezza) a entità “soggettive” come l’affetto (essere al caldo, essere tenuti stretti da un genitore), l’importanza (ciò che è grande è importante) e la quantità (più alto è il livello di un liquido in una tazza, più sostanza è contenuta all’interno). Queste prime mappature sono chiamate metafore primariee servono come base per mappe e “cornici” più complesse. Nella nostra ipotesi, i concetti nel cervello sono attivazioni coordinate di specifici circuiti neuronali e cascate. Le connessioni tra circuti neurali permettono il flusso di attivazione e mettono in relazione i concetti nella mente neurale.
Il cervello impara rafforzando le connessioni tra neuroni e basandosi sulle co-occorrenze dell’attivazione (il cosiddetto sparare). Neuroni all’inizio connessi molto debolmente diventano molto più forti quando i due lati della connessioni si attivano in una piccola finestra temporale; nel libro descriviamo diversi meccanismi che spiegano come il cervello impari a “proiettare” questi pattern legati ad attributi fisici (come il calore, per l’appunto) per strutturare la nostra comprensione di attributi astratti (come l’affetto), e come queste mappature si manifestino poi nel linguaggio: espressioni come “le azioni crollano ancora”per esempio, o “è una persona calorosa” ne sono esempi diretti. Quando impariamo un concetto complesso come la “libertà”proiettiamo la nostra esperienza incarnata, fatta di contenimento, movimento, forze fisiche e vincoli, per strutturare la nostra comprensione.

