IL brutte sorprese per gli Stati Uniti potrebbero non arrivare solo dalla Cina: d’altra parte, se a Pechino e Shenzhen sono riusciti a ottenere risultati di altissimo livello senza utilizzare eccessive risorse, perché non dovrebbero riuscirci anche in altre parti del mondo? “Potrebbe rivelarsi una svolta egualitaria”ah spiegato Hancheng Cao, docente alla Emory University, parlando con la MIT Tech Review. “E tutto ciò sarebbe un’ottima notizia per i ricercatori e per gli sviluppatori che hanno accesso a risorse limitate, specialmente per chi proviene dal sud globale”.
Lo stesso atteggiamento di sfida nei confronti della Silicon Valley potrebbe arrivare dagli Emirati Arabi Unitiche hanno iniziato a costruire sistemi di intelligenza artificiale “sovrani” e investiranno in questo progetto 90 miliardi di dollari nei prossimi sei anni, ma anche da parte di SingaporeDell ‘Arabia Saudita e – perché no – anche dell’Unione Europea che a breve si confronterà nel corso dell’AI Summit di Parigi.
Il brusco risveglio statunitensecomunque, non riguarda soltanto il fatto di essere stati improvvisamente raggiunti dalla Cina (e magari dover a breve subire una concorrenza ancor più vasta), ma anche di aver loro stessi, in parte, abilitato questo scioccante colpo di scena tecnologico e geopolitico: “Le conquiste cinesi relative all’efficienza non sono casuali”ah spiegato Angela Zhang Sul Financial Times. “Sono la risposta diretta alle crescenti restrizioni imposte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Limitando l’accesso della Cina ai chip più avanzati, gli Stati Uniti hanno inavvertitamente innescato la sua innovazione”.
È una chiave di lettura che si ritrova da più parti e che conferma quelli che, fin dall’inizio, erano stati i timori di chi sosteneva che le sanzioni si sarebbero rivelate un boomerangcapace soltanto di aumentare l’autonomia tecnologica cinese. Nessuno aveva però previsto che tutto ciò sarebbe avvenuto in tempi così brevi, incentivando le startup e i colossi cinesi a puntare su efficienza, open source e collaborazione invece che su consumi e potere di calcolo smisurati.
“Il calcolo per l’inferenza (il cosiddetto “ragionamento” dei modelli di AI più recenti) viene effettuato nel momento in cui si operano i modelli, non in fase di addestramento”ha spiegato in un’intervista l’imprenditore tech Alvin Graylin. “Ciò rende meno importante l’impiego di chip prodotti con i semiconduttori più avanzati e sta vanificando le sanzioni. Ciò che colpisce di più è che DeepSeek è stata fondata solo nel 2023, conta meno di 100 dipendenti e dispone di risorse di calcolo molto più limitate rispetto ai laboratori occidentali”.
Obiettivo: leader globale entro il 2030
Lo stesso sviluppo dell’intelligenza artificiale sembra quindi avvantaggiare la capacità cinese di ottimizzare le risorse e l’efficienza dei suoi modelli. E quindi, tutto ciò significa che la corsa all’intelligenza artificiale è finita e la Cina ha vinto? Ovviamente no, la strada è lunga e tutto può ancora succedere. Allo stesso tempo, non va sottovalutato come oggi il 38% di tutti i modelli linguistici venga sviluppato nella Repubblica Popolare (stando ai dati dell’Accademia per l’Informazione e la Tecnologia di Pechino), che dalle università cinesi escano ogni anno 6mila dottorati in materie Stem (il doppio che negli Stati Uniti) e che i talenti cinesi hanno dimostrato proprio con DeepSeek di saper affrontare le sfide tecnologiche pensando al di fuori degli schemi.