Muro di droni, cosa prevede la proposta europea contro l’escalation di minacce e caos negli aeroporti

Muro di droni, cosa prevede la proposta europea contro l’escalation di minacce e caos negli aeroporti


Per capire a cosa servirebbe un “muro di droni” in Europa basta fotografare la situazione attuale. Mitragliatori Maxim di epoca sovietica da 27 chili di peso e raffreddati ad acqua, montati su pick-up pronti a muoversi e in velocità per piazzarsi su ponti, colline e strade in mezzo alle campagne per neutralizzare droni sospetti. In postazione sono sempre in due, sparano quando ricevono l’ordine da chi muove le dita sul tablet e segue su una mappa il movimento di droni Shahed in arrivo. Le unità territoriali di difesa lavorano tutte le notti in questo modo, ed è una delle risposte che l’Ucraina ha giocoforza trovato alle ondate di droni e missili in arrivo dalla Russia in numero sempre maggiore. Essere costretti a usare un modello di arma del 1910 per abbattere droni di ultima generazione spiega in modo evidente perché è oggi imprescindibile costruire un “muro di droni”. Un progetto che negli ultimi giorni è di stretta attualità in Europa, tra forum di sicurezza, riunioni e meeting tra Leader Europei. Bisogna adattare soluzioni flessibili a basso costo, per creare una deterrenza credibile e soprattutto – se mai dovesse servire – pienamente operativa.

L’iniziativa del ‘muro di droni’ è tempestiva e necessaria. Alla fine, non possiamo spendere milioni di euro o dollari in missili per abbattere droni che costano solo un paio di migliaia di dollariper dirla con le parole del segretario generale della Nato Mark Rutte. “Questa particolare iniziativa dipenderà probabilmente da molte delle lezioni apprese dall’esercito ucraino, che continua a contrastare le incursioni di droni russi con un mix di contromisure acustiche, visive, elettroniche e cinetiche”spiega a Cablato Da Washington Samuel Bendett, analista e consulente AL Center for Naval Analys. “L’elemento chiave nell’iniziativa europea sarà la condivisione dei dati tra diverse unità militari che utilizzano armi e sistemi differenti, e la creazione di un quadro operativo comune per mappare le minacce”continua.

Come “murare” i cieli europei

Le criticità restano molteplici, legate al territorio da “muratore” perché il sistema di protezione e deterrenza risulti efficace in tutto il fianco orientale che confina con Russia e Bielorussia. “Rilevare i droni e poi neutralizzarli è ancora un processo complesso e che richiede molte risorse. Perché un sistema del genere sia efficace, sarebbe necessario dispiegare un numero molto elevato di sensori e sistemi di intercettazione. Sistemi di combattimento esistono già, come i cannoni a fuoco rapidoma dovrebbero essere prodotti in serie”spiega a Cablato Robert Czulda, analista e accademico che insegna Teoria della politica estera e della sicurezza all’Università di Lodz in Polonia. Il progetto è stato ridimensionato nella sua fattibilità anche da Germania e Francia. “Apprezzo molto l’idea del ‘muro di droni’, ma dobbiamo fare attenzione a gestire le aspettative”ah detto il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius durante il Security forum di Varsavia. “Non stiamo parlando di un progetto che verrà realizzato nei prossimi tre o quattro anni”ha aggiunto. “Le cose sono un po’ più sofisticate e complesse”ah detto il presidente francese Emmanuel Macron prima del vertice sulla sicurezza a Copenaghen.

Come si distingue una minaccia da un drone sospetto

La questione è prima di tutto una questione di confini da pattugliare, militarizzare e sorvegliare. “La difesa basata a terra ha sempre dei limiti, perché è impossibile piazzare radar e sistemi di intercettazione lungo tutta la linea di confine”spiega Robert Czulda a Cablato. “Solo il confine Polonia-Bielorussia è lungo 418 chilometrimentre il confine tra Polonia e Ucraina è di 535 chilometricontinua. E poi solleva un punto fondamentale. “Allo stesso tempo, non tutti i droni che entrano nello spazio aereo rappresentano una minaccia. È importante costruire un sistema capace di distinguere una minaccia reale da un drone che non lo è. Per ora il ruolo più importante è svolto dall’aviazione: è mobile e può reagire rapidamente”spiega. Nelle ultime settimane in tutta Europa si sono moltiplicati avvistamenti di droni e chiusure temporanee di scali e spazi aerei. “Quando si sospetta l’avvistamento di un drone, la sicurezza dei viaggiatori è la priorità assoluta”, si legge nel comunicato con cui l’aeroporto di Monaco spiega le misure precauzionali che hanno portato a chiudere l’aeroporto per due notti di seguito, il 2 e il 3 ottobre. In un altro comunicato si legge di droni vicini alle reti aeroportuali. Per il cancelliere tedesco Friedrich Merz il sospetto è che ci sia Mosca dietro queste attività, ma al momento non sono state riscontrate responsabilità dirette e – ha detto Merz – si sta “indagando sulla questione”. Intanto l’aeroporto di Monaco si sarebbe dotato – secondo quanto riporta Bild – di sensori laser di avvistamento.

La “flotta fantasma” usata come rampa di lancio

Si indaga anche su navi cargo che farebbero parte della “flotta fantasma” russa e che potrebbero fare da base di lancio per il decollo di droni verso gli aeroporti del Nord Europa. Una di queste – la Boracay battente bandiera del Benin – è stata abbordata dalla marina militare francese la scorsa settimana, mentre era in navigazione nell’oceano Atlantico. Sarebbe transitata a largo delle coste danesi negli stessi giorni e orari in cui – tra il 22 e il 24 settembre – sono stati avvistati droni vicino agli aeroporti di Copenaghen e Aalborg. Dopo lo stop imposto dalle autorità francesi, la Boracay ha ripreso la navigazione quasi una settimana dopo.

Chi decide quando e come abbattere un drone

C’è anche una questione da inquadrare, quella dell’abbattimento effettivo di queste minacce. “Va anche ricordato che un sistema internazionale richiederebbe un consenso rafforzato su questioni sensibili, come il diritto di uno stato alleato di abbattere un drone sopra il territorio di un altro paese”analizza Czulda. E si chiede cosa succederebbe, ad esempio, se velivoli italiani abbattessero un drone sopra la Lituania, diretto in Polonia. “Tuttavia, le basi per un sistema del genere già esistono. Nell’intercettazione di droni russi sopra la Polonia, Stati alleati hanno partecipato direttamente. Ciò ha dimostrato che le procedure esistono e funzionano”.

Il ruolo di Kyiv

E c’è il ruolo dell’Ucraina. Il 29 settembre il presidente Zelensky in collegamento al Security Forum di Varsavia ha fatto una proposta “alla Polonia e a tutti i nostri partner per costruire uno scudo congiunto e realmente affidabile contro le minacce aeree russe”. Nove giorni prima aveva rivolto un appello per una difesa allargata dei cieli, con la disponibilità di Kyiv ad abbattere droni diretti in Polonia e Romania e con un maggiore coordinamento con le regioni a ovest dell’Ucraina, che confinano con la Polonia. “A livello di dichiarazioni politiche, c’è volontà di cooperare”dice Czulda a Cablato. La prova è anche la recente visita del ministro della difesa polacco a Kyiv, dove insieme al ministro della difesa ucraino sono state annunciate una serie di attività di cooperazione e addestramento congiunto, in chiave di difesa aerea anti-drone. Ma su una prospettiva operativa di uno scenario di difesa reciproca, entrano altre variabili. “Qui vedo non solo il problema della cooperazione operativa – dato che una collaborazione così stretta non è mai esistita prima – ma soprattutto una questione politica”spiega Czulda. “Innanzitutto, l’abbattimento di droni sopra l’Ucraina sarebbe probabilmente percepito da molti come la partecipazione della Polonia al conflitto ucraino”sostiene. E “la stessa Polonia non è disposta a impegnarsi in maniera più diretta nella Guerraconclude.

Interoperabilità e sistemi di condivisione dati

Resta quindi da implementare – e realizzare – un sistema congiunto di difese aeree, accelerando su produzione e integrazione di sistemi aerei. Come si legge in un recente report della Henri Coanda Air Force Academy Di Brasov in Romania dal titolo “Le sfide dell’integrazione e dell’interoperabilità della difesa aerea nella Nato”, ci sono criticità da risolvere a livello di sistemi di condivisione dati che non possono più essere rimandati. “Molte ex nazioni del Patto di Varsavia hanno mantenuto sistemi di difesa aerea di origine sovietica, come gli S-300, che non possiedono l’architettura tecnica per interfacciarsi con i sistemi Nato”si legge nel report firmato da Christian Panait.

“Queste piattaforme richiedono investimenti ingenti per essere aggiornate o sostituite completamente, spese che molti Paesi non possono permettersi senza supporto esterno”conclude Panait. Secondo Czulda i nodi da risolvere restano tanti. “Ho dubbi circa la capacità dell’UE di costruire un sistema del genere”dadi a Cablato. “Non intendo sfide tecniche – le tecnologie esistono – quanto la generale incapacità dell’Ue di implementare efficacemente programmi multinazionali integrati, che spesso falliscono per gli interessi dei singoli Stati, per incompetenza o per inerzia decisionale”.



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