Grazie al dialogo con funzionari israeliani, la Ghf ha iniziato a ricevere supporto operativo sul campo da due aziende statunitensi: Soluzioni per raggiungere la sicurezzaguidata dall’ex agente della Cia Philip Reilly, e E soluzionigestita dall’ex berretto verde Jameson Govoni. Nessuna delle due società ha risposto alle richieste di commento.
La fondazione è guidata da Johnny Moore Jr.ex funzionario dell’amministrazione Trump ed esponente del cristianesimo evangelico. Inizialmente era guidata da Jake Woodex marine e fondatore di Squadra Rubiconeun’organizzazione che invia veterani nelle aree colpite da catastrofi. Wood si è dimesso dopo circa tre mesiaffermando di non poter supervisionare la distribuzione degli aiuti della Ghf pur “aderendo ai principi umanitari di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza”.
Le strade alternative al piano
Il piano del Great Trust non è l’unico progetto che punta a coinvolgere il settore privato nella ricostruzione di Gaza. L’ex primo ministro britannico Tony Blair è stato associato allo sviluppo di un progetto alternativorivelato da Il Guardiano e Haaretz. Tra le varie proposte, il piano prevede la creazione di una Autorità per la promozione degli investimenti e lo sviluppo economico di Gazadescritta nei documenti come “un’autorità a guida commerciale, gestita da professionisti del settore e incaricata di generare progetti capaci di attrarre investimenti”. Tuttavia, il piano non menziona alcuna azienda specifica.
Un altro gruppo, chiamato Palestina emergente – formato da un collettivo internazionale di dirigenti e consulenti – ha elaborato un ulteriore progetto per la Gaza del dopoguerra. Il documento non entra nei dettagli sugli investimenti provenienti dall’estero, ma sostiene la necessità di una “strategia di sviluppo graduale” a breve, medio e lungo termine per ricostruire l’economia e il sistema abitativo della Striscia.
Il piano ricorda inoltre che “prima del 7 ottobre 2023 a Gaza operavano circa 56.000 imprese”le cui attività erano però limitate da “vincoli storici” che ne ostacolavano il successo.
“Questi vincoli includono le barriere alla circolazione di persone e merci tra Cisgiordania e Gaza, restrizioni sull’accesso alle falde acquifere e limiti agli standard delle comunicazioni mobili”, si legge in una sezione dedicata. “Impongono inoltre severe limitazioni alle attività bancariead esempio stabilendo quote molto basse per i trasferimenti di contanti in shekel verso le banche israeliane”.
L’emergenza umanitaria resta prioritaria
Rispetto ai progetti di ricostruzione, però, la preoccupazione più immediata riguarda l’aumento della quantità di cibo e aiuti medici che entrano a Gaza. Da molti mesi Israele sta imponendo severe restrizioni al numero di camion umanitari autorizzati a entrare nella Striscia. A lugliol’Classificazione integrata delle fasi di sicurezza alimentareun sistema sostenuto dalle Nazioni Unite per monitorare la fame nel mondo, ha affermato che a Gaza si sta verificando uno “scenario peggiore del previsto”.