Perché il calcestruzzo romano era così resistente? Grazie a Pompei abbiamo finalmente la risposta

Perché il calcestruzzo romano era così resistente? Grazie a Pompei abbiamo finalmente la risposta


Nel 2023 uno studio condotto da un gruppo di scienziati del Istituto di tecnologia del Massachusetts aveva suggerito che per realizzare il loro celebre calcestruzzogli antichi Romani utilizzassero la “miscelazione a caldocon calce vivainsieme ad altre tecniche, in modo da conferire al materiale la capacità di “autoripararsi”. La scoperta presentava però un problema: il metodo non coincideva con la ricetta descritta dalle fonti storiche. Ora lo stesso team ha presentato una nuova analisi dei campioni prelevati da un sito scoperto di recente che conferma l’ipotesi iniziale.

La ricetta del calcestruzzo romano

Proprio come il moderno cemento Portland, l’ingrediente alla base del calcestruzzo contemporaneo, anche il calcestruzzo romano (detto anche opera cementizia) era essenzialmente una miscela composta da malta semi-liquida e da un aggregato. Il cemento Portland si ottiene tipicamente riscaldando calcare e argilla (oltre ad arenaria, cenere, gesso e ferro) in un forno. Il prodotto di questo processo, il clinker, viene quindi macinato fino a diventare una polvere fine, a cui è poi aggiunta una piccola quantità di gesso per ottenere una superficie uniforme. L’aggregato utilizzato nel calcestruzzo romano, invece, era composto da pezzi di pietra o mattoni grandi quanto un pugno.

Nel trattato Sull’architetturarisalente all’incirca al 30 d.C., Vitruvio spiegava come costruire muri in calcestruzzo per le strutture funerarie, in modo che potessero resistere nel tempo senza crollare. Secondo l’architetto e ingegnere romano, le mura dovevano avere uno spessore di almeno 60 centimetri ed essere realizzate con “pietra rossa squadrata, oppure con mattoni o lava”. L’aggregato di mattoni o roccia vulcanica doveva essere legato con una malta composta da calce idrata e frammenti porosi di vetro e cristalli generati da eruzioni vulcanichequello che oggi definiamo tefra vulcanica.

Admir Masic, ingegnere ambientale del Mit, studia il calcestruzzo romano da diversi anni. Nel 2019 ha contribuito a sviluppare un nuovo set di strumenti per analizzare i campioni provenienti da Privernum, utilizzando in particolare la spettroscopia Raman per il profilo chimico e la spettroscopia Eds per la mappatura delle fasi del materiale. Masic è stato anche coautore di uno studio del 2021 che analizzava campioni dell’antico calcestruzzo impiegato per costruire, duemila anni fa, un mausoleo lungo la via Appia a Roma, noto come Mausoleo di Cecilia Metellauna nobildonna vissuta nel primo secolo d.C.

I segreti della miscelazione a caldo

Nel 2023, il team di Masic ha analizzato campioni prelevati dalle mura in calcestruzzo di Privernum, concentrandosi su strani frammenti di minerali bianchi noti come “clasti di calce”che molti avevano liquidato come difetti dovuti all’uso di materie prime scadenti o a una miscelazione imperfetta. Per Masic e i suoi colleghi la spiegazione però era un’altra: i Romani avrebbero deliberatamente utilizzato la miscelazione a caldo con calce vivaconferendo al materiale vere e proprie proprietà autoriparante.



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