Dentro gli ospedali, è ora di iniziare a pensare a come rendere migliori le sale operatorie

Dentro gli ospedali, è ora di iniziare a pensare a come rendere migliori le sale operatorie


Non solo le persone: ora gli operatori sanitari vogliono proteggere anche l’ambientedentro e fuori dagli ospedali. Come? Riducendo l’impatto prodotto dagli interventi chirurgici. Gli ospedaliin effetti, sono tra gli edifici pubblici più energivori in assoluto dato che, con la loro attività (luce, riscaldamento, gas, acqua), generano fino al 5% delle emissioni globali di gas serra in atmosfera. Al loro interno, le sale operatorie sono responsabili del 30% dei rifiuti ospedalieri e di oltre il 40% dei consumi energetici delle intere strutture sanitarie. A inquinare, però, è anche quello che non si vede. Come i gas anestetici usati per addormentare i pazienti. Ad esempio il desflurano – tra i gas più utilizzati – incide sul riscaldamento globale fino a 2.500 volte in modo più aggressivo dell’anidride carbonica.

Perché anche gli ospedali vanno curati

Dove si può e si deve cambiare

Per affrontare questi temi, nel 2025 la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti) ha elaborato cinque regole da rispettare in sala operatoria. Sono le seguenti: evitare, ove possibile, l’uso di agenti inalatori anestetici altamente impattanti; utilizzare flussi minimi di gas anestetizzanti; adottare tecniche anestesiologiche e materiali a basso impatto ambientale, preferendo quando possibile anestesia loco-regionale (ovvero quella circoscritta alle parti del corpo interessate dall’intervento) o endovenosa (dunque iniettata); limitare il ricorso ai dispositivi monouso e ottimizzare la raccolta differenziata; farsi promotori di buone pratiche sostenibili in sala operatoria e in terapia intensiva.

Questi punti sono tutti di eguale importanza, nel senso che non vi sono priorità particolari o passi da fare prima di altri. L’approccio al miglioramento deve essere complessivo. Lo spiega a Cablato il professor Luigi Tritapepeprimario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma.

La presa di coscienza di medici e infermieri

Partendo dalla quinta indicazione del Siaarti, Tritapepe dice che la presa di coscienza deve venire prima di tutto da medici e infermieri: “Noi che ci preoccupiamo della sicurezza dei pazienti e degli operatori, a volte non lo siamo altrettanto per l’ambiente”. Ovvero: spesso non c’è modo di smaltire i rifiuti di una sala operatoria in maniera differenziata e sostenibile e, in troppi casi, i materiali utilizzati durante gli interventi chirurgici sono monouso. Parliamo della cosiddetta teleria, ovvero camici, cuffie, mascherine, tessuti utili a coprire il paziente. Attrezzatura destinata a produrre impatto ambientale perché, a oggi, molto di quello che viene impiegato in sala operatoria viene smaltito tramite l’incenerimento. E qui a complicare le cose interviene, oltre alle emissioni di anidride carbonica derivanti da queste combustioni, anche la possibile dispersione nel suolo dei residui di farmaci che restano nei contenitori buttati dopo un intervento chirurgico. Materiale che, per quel che ne sappiamo, potrebbe finire anche nelle acque reflue e diventare “inquinante per molti anni”, dice Tritapepe.

Ma le emissioni prodotte in ambito chirurgico non sono legate soltanto all’incenerimento. Responsabili in questo senso sono anche i gas utilizzati per addormentare il paziente che si trova sul tavolo operatorio. Tra gli anestetici più utilizzati al mondo troviamo proprio il desflurano. L’ampio ricorso a questo tipo di anestesia è legato alla maggior facilità con cui è possibile somministrarlo: far respirare la molecola al paziente è una manovra più semplice rispetto all’iniezione endovenosa.

Non basta vietare, bisogna progettare

L’Unione europea, sensibile alla materia, ha deciso di proibire dal primo gennaio 2026 l’utilizzo del desflurano proprio a causa delle emissioni che produce. Il professor Tritapepe, però, spiega che questa decisione non affronta il problema della sostenibilità nella sua complessità. Se l’intenzione è quella di realizzare quei blocchi operatori interamente verde che già si producono in Nord Europa (Danimarca, Svezia), secondo lui il rischio che si nasconde dietro al provvedimento europeo è di accontentarsi: che ora, insomma, per essere soddisfatti “togliamo il desflurano dalle nostre sale operatorie e otteniamo il bollino blu di sala operatoria green, anche se poi nella sostanza non è così”.



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