In Palestina l’agricoltura ha un disperato bisogno di startup. Abbiamo incontrato chi sta facendo innovazione

In Palestina l’agricoltura ha un disperato bisogno di startup. Abbiamo incontrato chi sta facendo innovazione


Se si pensa a un luogo di innovazione, la Palestina non è sicuramente il primo a venire alla mente. Eppure, nonostante una guerra e le condizioni di vita sotto occupazione, anzi proprio a causa di tutto questo, Gaza, ma soprattutto la Cisgiordaniasono posti dove nascono nuove idee. La creatività qui è dettata dalla necessità di produrre mentre la propria terra è in pericolo, di coltivare anche se l’acqua manca o è inquinata, di salvare e distribuire il cibo invenduto per non sprecare nulla. Innovare è solo un altro modo di resisterecome ha dichiarato di recente il ministro dell’Agricoltura dell’Autorità nazionale palestinese, Rezq Salimianel corso della Settimana Agroalimentare Mediterranea dell’Innovazione organizzata a fine novembre a Bari dal Ciheam, l’Istituto agronomico mediterraneo.

I progetti

Le barriere quotidiane alle imprese

Lavorare e fare impresa in Palestina è una sfida continua che richiede di ingegnarsi ogni giorno. Sussistono infatti enormi restrizioni per l’import di beni e attrezzature, perché quasi tutto è considerato sensibile al duplice usocioè a un potenziale utilizzo nell’industria bellica. Non si possono per esempio importare tubi più lunghi di una certa misura e più larghi di un dato diametro, ma lo stesso vale per altre cose diversissime tra loro: urea, api regine, perlite per i vivai e diversi tipi di ortaggi ibridi. Non è nemmeno consentito recuperare i pozzi artesiani per prelevare l’acqua, il cui accesso è razionato. Ufficialmente si può richiedere un permesso per tutto ciò, che tuttavia viene difficilmente concesso. Senza contare le barriere fisiche con cui i lavoratori palestinesi si devono confrontare: muri da aggirare e checkpoint da attraversareperdendo ore di tempo ogni giorno.

Dieci startup per un’agricoltura sostenibile

Sono storie tanto estreme quanto comuni a molte delle startup palestinesi che si sono riunite a fine novembre nel capoluogo pugliese dopo aver partecipato al progetto di cooperazione Sanet. L’iniziativa è stata finanziata dal ministero degli Affari Esteri italiano e realizzata dal Ciheam con l’obiettivo di rafforzare cooperative, associazioni e incubatori locali, promuovere l’imprenditoria giovanile e migliorare le filiere agroalimentari rendendole più produttive, sostenibili e inclusive. Dopo un primo percorso di formazione, a marzo 2025 sono state selezionate dieci startup palestinesi per un periodo di incubazione di sei mesi.

Si tratta di esempi concreti di innovazione frugalequella condizione in cui si è costretti a fare tanto con risorse limitate. Le idee proposte sono ambiziose: GreenRockper esempio, produce fertilizzanti organici dagli scarti di lavorazione di marmo, pietre e persino olive. Orticaria360 propone agli apicoltori un sistema intelligente per la gestione degli alveari e l’analisi della loro produttività, mentre Ywca Gerico favorisce l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, principalmente nel settore alimentare, con corsi e tirocini. Altri due progetti, Bonika Gro e Fattoria modello Qabatiyasi concentrano sulla coltivazione ad alta tecnologia di fragole e prodotti biologici nel tentativo di aumentare la produttività dei raccolti riducendo il consumo d’acqua.

Una azienda, tre generazioni

Un esempio emblematico di questa resilienza è Agritopia per la tecnologia agricolache ha già messo a punto tre sistemi per aiutare gli agricoltori palestinesi, pur tra mille difficoltà. A raccontarlo è Shadha Musallam, 38 anni e un ottimo italiano imparato crescendo in Tunisia, dove insieme alla sua famiglia vedeva i programmi Rai. “Finché non siete passati al digitale terrestre, altrimenti sarebbe ancora migliore”spiega sorridendo. La startup che ha fondato dopo gli studi in scienze ambientali ha sede a Ramallah, in Cisgiordania, e fonde le conoscenze agricole tradizionali con tecnologie all’avanguardia nell’automazione grazie a due generazioni di ingegneri: lo zio sessantenne e un cugino Gen Z.

Il primo prodotto sviluppato è stato una serra idroponica controllata digitalmentepensata per chi ha difficoltà a recarsi nei propri campi a causa dell’aggressività dei coloni. I costi però sono lievitati con la guerra a Gaza e Agritopia ha dovuto ripensare la propria strategia, cercando di immettere sul mercato un prototipo più accessibile. Così la startup ha ideato un controller per l’irrigazione e la fertilizzazione gestibile tramite app e venduto a un prezzo minore. L’ultima invenzione presentata a Bari, che è valsa alla startup il secondo premio, è un sistema di disinfezione idrica tramite ozonoutile in un contesto dove l’acqua è scarsa e spesso inquinata.



Source link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top