L’app per il processo penale telematico non funziona. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, si dice. Ma se così fosse, tutti i protagonisti della nostra storia dovrebbero, a questo punto, tenere in tasca le mani. Il pasticciaccio di Appil software che avrebbe dovuto portare la giustizia nel futuroma è stata sospesa d’ufficio in 87 tribunali italiani con l’accusa di bloccare di fatto la giustizia penale – è frutto di una serie di fattori concomitanti: alcuni oggettivi e altri soggettivi.
Inesatta progettazione iniziale dei flussi processuali, sottovalutazione dell’andamento concreto degli uffici penali, mancata analisi e sperimentazione negli uffici, iper-proliferazione di gruppi di lavoro con validazioni sempre più stratificate e anche qualche personalismo di troppo: l’insieme di questi fattori ha provocato un caso di grave inefficienza dell’app per il processo penale telematico con ripercussioni sul già malandato servizio giustizia. E poi, Dolce verso il fondoha pesato come un macigno l’improvvida obbligatorietà dell’utilizzo di App per magistrati e avvocati: stabilita a fine dicembre dal ministro Carlo Nordio, quando negli uffici giudiziari c’era ancora bisogno di sperimentare e il software non era pronto. Cablato ha provato a ricostruire la matassa dell’avvio ad alta tensione del processo penale 2.0. Un lavoro complesso, con una conclusione sorprendente. Se pensate che sia facile capire chi ha sbagliato, siete fuori strada.
Ministero della Giustizia e Csm vedono le cose in maniera opposta
La ditta fornitrice è la SirfinPa, da sempre impegnata nel ramo penale. SirfinPa fa capo alla multinazionale della consulenza Accenture, che l’ha acquisita alla fine del 2023 assieme a CustomermanagementIT. Le due aziende, secondo quanto si legge sul sito, “operano in stretta sinergia e offrono servizi e soluzioni tecnologiche innovative nei settori della giustizia e della pubblica sicurezza“.
I dati e i documenti ufficiali sulla implementazione progressiva di App sono in parte noti, raccolti sia nell’ultimo documento del Consiglio superiore della magistratura (Csm), approvato nel plenum del 21 gennaio scorso su proposta dei consiglieri Maria Vittoria Marchianò e Marco Bisogni; sia nella relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2024 del ministero di via Arenulaconsegnata al parlamento in occasione della apertura dell’anno giudiziario. Già dalla lettura delle carte salta all’occhio che le versioni dei fatti proposte dalle due parti non coincidono. Anzi: sono opposte. Pur riferendosi entrambi all’applicazione Appinfatti, i documenti rappresentano gli eventi in maniera contrastante.
Il Csm descrive App in maniera severamente criticaenfatizzando le difficoltà e i fallimenti; il ministero ne esalta, invece, incondizionatamente gli aspetti positivi, senza menzionare alcuna criticità. Ricordando, peraltro, che la versione 2.0 (quella incriminatandr), “è stata conseguente alla sempre più analitica raccolta di requisiti funzionali in grado di condurre l’applicativo per il processo penale in sintonia con le dinamiche attualmente in essere presso gli uffici”. Significa che, almeno in teoria, lo sviluppo è stato preceduto da una fase di analisi sempre più avanzata del reale flusso di lavoro che occore nei tribunali.