Il Nobel per la letteratura a Stephen King: per molti un’idea balzana, che significherebbe ridurre il massimo riconoscimento in ambito letterario a un premio per chi fa grandi numeri. Ma chi conosce a fondo i suoi libri sa che non è così: Stephen King non può essere ridotto a scrittore di genere.
Quali sono le motivazioni per il premio?
«In considerazione del potere dell’osservazione, dell’originalità dell’immaginazione, della forza delle idee e del notevole talento per la narrazione che caratterizzano le creazioni di questo autore famoso nel mondo»: con queste parole è stato motivato il Nobel a Rudyard Kipling nel 1907. Scorrendo l’elenco dei vincitori del premio si leggono frasi come «per i suoi grandi romanzi», riferito a Mann, oppure «per la sua maestria nell’arte narrativa e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo», detto di Hemingway. Ancora, Marquez ha meritato il riconoscimento «per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto». Tutte caratteristiche, queste, che si possono tranquillamente rintracciare nell’opera di Stephen King. A partire dall’ultima: la convivenza tra reale e fantasticotra sovrannaturale e quotidiano è una costante nella narrativa di questo autore prolifico e immaginifico. I due mondi talvolta sono accostati, separati solo da una porta, come in Fiabaoppure si compenetrano a vicenda come nella Derry di Essosi alternano in un susseguirsi di tempi e luoghi come nella saga della Torre Nera o comunicano attraverso una persona come in La metà oscura. Forse nessuno ha mai disegnato la concretezza della vita di provincia americana dettagliatamente e precisamente quanto King: la dimensione sociale e quella individuale e privata nei suoi libri sono fotografate in modo vivido e con una presa immediata su chi legge che raramente si trova in altri autori. Ogni personaggio ha una sua storia, una sua psicologia, un suo passato, un suo rilievo nella vicenda, anche quelli minori, i cosiddetti comprimari. Dall’altro lato il tessuto della realtà sfuma e si trasfigura nel mondo immaginario e immaginato dove albergano sogni e incubi, fantasie e orrori. Orrori che non sono solo le creature spaventose dell’horror classico: più che vampiri e non morti a far paura è il male stesso che si annida inaspettatamente in uomini, animali, luoghi, quasi contaminandoli, espandendosi a provocare un contagio spesso anche non voluto. Così il cimitero degli animali di Pet Sematery racchiude un male antico che continua a inquinare tutto quello che viene a contatto con la sua terra, animali ma anche uomini, adulti e bambini. La lotta tra il bene e il male, che è alla base di quasi tutta la produzione di Stephen King, è stata oggetto di una letteratura universalepresente in ogni epoca e in ogni luogo, a volte esplorata in termini psicologici o sociologici, a volte in termini religiosi o mistici, mai in questa chiave capace di accostare tutte le sfaccettature del mistero che rende inspiegabile il lato oscuro dell’uomo e del mondo.
Classico e pop
È forse proprio la capacità di raccontare le storie di gente comune, in cui male e bene convivono, la caratteristica che rende King vicino al suo pubblico. Ma non è certo l’unica. Nei suoi romanzi si aprono scenari offerti da luoghi indimenticabili, posti che sono vivi nell’immaginario di milioni di lettori. L’Overlook Hotel con i suoi enormi saloni e le sue siepi dalle forme inquietanti; i sotterranei di Derry e che tracciano una geografia parallela a quella della superficietra grotte, fognature e anfratti dove si annida Esso in tutte le sue forme; il braccio della morte su cui si affacciano le celle con i detenuti ne Il miglio verde; il cortile della prigione di Le ali della libertà. Immagini riprese e amplificate (talvolta distorte) dalle decine di adattamenti cinematografici e televisivi tratti dai libri di King. Luoghi che non temono di scomparire di fronte ad altri luoghi letterari indimenticabili: le mura di Troia, il castello di Elsinore, la selva oscura di Dante, i vicoli di San Pietroburgo percorsi da Raskolnikov in Delitto e Castigoil Castello d’If dove è imprigionato il Conte di Montecristo. O ancora la tana dove il perfido Fagin nasconde e sfrutta decine di bambini in Oliver Twist di Dickens.
E proprio Dickens è un esempio di quanto i lettori possano amare un autore, di quanto forte possa essere il desiderio di scoprire come continua una storia. È lo stesso King nell’introduzione a Il miglio verde a raccontare un illuminante episodio: «I romanzi a puntate di Dickens ebbero un immenso successo, che in un caso provocò addirittura una tragedia a Baltimora. Sul fronte del porto si era riunita una nutrita schiera di dickensiani nella febbrile attesa dell’arrivo di una nave inglese con le copie dell’ultima puntata de La bottega dell’antiquario. Si racconta che molti aspiranti lettori furono involontariamente sospinti in acqua e morirono annegati». I lettori di Dickens, come quelli di King, erano gente comune; di fronte ai suoi romanzi molti intellettuali arricciavano il naso, proprio come lo arricciavano davanti alle opere di Dumas, accusato di essere una sorta di “fabbrica” di imponenti macchine narrative, di scrivere “a metro”. E gli intellettuali di oggi darebbero un Nobel per la letteratura a Dumas o a Dickens? Quegli stessi che arricciano il naso davanti ai romanzi di King, troppi, troppo numerosi, troppo popolari. Non si può considerare un vero artista uno che vende più di 500 milioni di copie in tutto il mondo. O forse sì? Forse per essere un grande scrittore non è necessario aver pubblicato libri comprensibili solo all’élite dei dotti. Forse un grande scrittore sa far appassionare alla lettura anche chi normalmente non leggerebbe neanche un volantino pubblicitario, sa farsi comprendere anche dai meno eruditi, sa comunicare a tutti, influenzando la cultura che appartiene a tutti. Forse per capire che King è un grande scrittore basterebbe leggerlo senza pregiudizilasciandosi guidare dalla bellezza del suo stile che sa mutare di registro, adattandosi di volta in volta a personaggi e situazioni, e lasciandosi guidare per mano nel suo mondo, che è il mondo della nostra realtà e delle nostre fantasie.