Ha molta esperienza sul campo la Iniziativa per borse di studio a Gaza (Gsi), un collettivo di scrittori e accademici che si occupa di assistenza burocratica, logistica e materiale agli studenti che cercano di uscire dalla Striscia. Nasce in onore di Rīfat Alarīr, poeta palestinese ucciso dai bombardamenti a Gaza nel 2023. Per ragioni di sicurezza, le nostre fonti hanno chiesto l’anonimato: alcuni di loro risiedono negli Stati Uniti e temono conseguenze legali, se si esponessero troppo.
Già da tempo, Gsi collabora con Gran Bretagna, Olanda e Irlanda. Nel 2024 ha assistito più di 300 studenti gazawi. Fra di loro, 124 hanno ricevuto una scholarship. È un’organizzazione totalmente apolitica, con scopi strettamente umanitari. “Noi non vogliamo attaccare i governi, ma proteggere vite”, dice una fonte. “Ora vorremmo assistere l’Italia, soprattutto dopo l’apertura dei corridoi: possiamo essere utili a tanti livelli. Ci siamo rivolti alla Farnesina fin dall’inizio, perché siamo esperti nella compilazione delle liste e nella prima assistenza nei Paesi di transito”. Tra i beni forniti dalla Gsi ci sono kit di prima necessità, che includono abbigliamento e oggetti personali. “Dobbiamo dargli qualcosa: nel viaggio da Gaza ad Amman non possono portarsi nemmeno uno spazzolino”.
Protezione degli studenti
“La prima evacuazione è stata particolarmente difficile”, dice un’altra fonte della Gsi con cui parliamo a inizio ottobre ad Amman. “I governi hanno intelligentemente organizzato convogli di bus scortati dalla mezzaluna rossa. Ma ci sono stati incidenti: ho saputo che dei soldati hanno sparato verso le ambulanze, per intimidirle. E i medici, per un po’, sono stati costretti ad andarsene”.
Ci sono state anche minacce: “I soldati, ai controlli, hanno iniziato a dire a uno studente che tutto il mondo odia i gazawi “per quello che hanno fatto”, e che li odierà per sempre”, ci dice la fonte. Un altro ha aggiunto: “Invece, noi ebrei siamo amati e rispettati. Possiamo rendervi la vita un inferno. Ricordatevelo, quando vedrete soldati dell’Idf all’estero”. Probabilmente una posizione isolata, ma indicativa delle pressioni subite dagli studenti.
Come detto, Widad dovrebbe essere evacuata. Anche se si presentasse la possibilitànon richiederà ricongiungimenti familiari: “La mia famiglia vuole restare, questa è la loro terra. Io vado per continuare la mia vita e la mia formazione, che è rimasta in sospeso per due anni. Sono giovane: studiando non ottengo solo un titolo, ma reclamo il futuro che mi hanno portato via”. Non è l’unica: sono 88mila gli studenti che non possono studiare a Gaza.
Per quanto riguarda Widad, lei sa già la prima cosa vorrà fare in Italia: “Intanto, ringrazierò e abbraccerò i miei amici e chi mi ha sostenuto. Mi hanno permesso di andare avanti in questi mesi”. Ma poi, non avrà tempo da perdere: “Arrivo a semestre già iniziato. Dovrò mettermi in pari con gli esami e fare un corso intensivo d’italianoper arrivare al livello B2 richiesto per restare”.

 
			